sabato 25 dicembre 2010

VIGILIA DI PAESE. (Racconto pubblicato sul quotidiano "Il Trentino".

Arrivando in macchina a Umberto venne un pensiero che nemmeno lui si sarebbe aspettato di poter fare. Pensò che non ci sarebbe potuta essere un’atmosfera più adatta per la sera di Natale. La neve stava cadendo ormai dalla mattina e la strada era tutta bianca. Il paese era addobbato con le luci attaccate ai lampioni e nella piazza soprastante la strada c’era un albero di Natale illuminato. In giro c’erano poche macchine e poche persone: gli abitanti del paese erano sicuramente in casa per i preparativi della vigilia. Chi si preparava per la messa di mezzanotte e chi spadellava per la cena con i parenti. I bambini erano ovviamente irrequieti per l’imminente arrivo di Babbo Natale.
Umberto parcheggiò nel posto auto in fondo alle scale che portavano alla chiesa e restò in macchina a guardare la strada bianca e deserta. “Mah! Mi meraviglio di me stesso. Sarà lo spirito natalizio che ha preso anche me?” si chiese ad alta voce.
Umberto non aveva un buon carattere. Era polemico, litigioso e…razzista. Sapeva di essere polemico e litigioso ma non di essere razzista. Anzi, la sua visione del mondo era semplicemente quella …giusta, una visione all’interno della quale non c’era posto né per meridionali né per stranieri. Scese dalla macchina, si accese una sigaretta e si diresse verso il bar Pietro che era anche l’unico del paese.
A quanto sembrava Umberto era uno dei pochi che non stavano a casa in quella sera speciale. D’altronde per lui era una sera speciale veramente perché forse avrebbe portato una svolta alla sua vita. Al bar aveva un appuntamento con la persona che poteva offrirgli finalmente un’opportunità di lavoro.
Dopo trent’anni durante i quali aveva lavorato come manutentore all’azienda sanitaria, Umberto aveva perso il posto. Non a causa di qualche taglio del personale o di un calo del lavoro. Il suo responsabile lo aveva trovato ubriaco e addormentato nel magazzino dell’ospedale. Ovviamente non aveva avuto possibilità di giustificarsi. Era incorso in una delle poche cause giustificate di licenziamento. D’altronde non era la prima volta che il vizio di bere gli aveva causato dei problemi.
“Diciamo che quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso” si disse nuovamente ad alta voce, “una goccia di vino in quell’occasione”. La battuta lo fece ridere. La sua situazione non era molto rosea ma quella notte di vigilia lo aveva messo di buon umore.
Dopo il licenziamento Umberto aveva iniziato ad avere dei problemi finanziari e questo si andava ad aggiungere ad un altro pensiero che lo tormentava. Umberto oltre a una moglie che non considerava ormai più da tempo aveva anche una figlia: la sua Lorena. Lorena aveva diciotto anni ed Umberto la proteggeva dal mondo, dai malviventi e soprattutto dagli extracomunitari. Bisognava stare attenti, perché gli extracomunitari violentavano le ragazze italiane dopo avere rubato il lavoro ai ragazzi italiani. Non si poteva abbassare la guardia. Dopo tutti quegli anni passati a cercare di tenere alla larga i terroni e avere spesso dovuto sopportare di vedere calabresi e napoletani prendere il posto di tanti colleghi trentini, ora il pericolo era maggiore. C’era il pericolo straniero. Avevano un bel dire le statistiche che bisognava accettare la cosa e che tra qualche decina d’anni in provincia ci sarebbero stati più stranieri che trentini. Avevano un bel dire i benpensanti che anche tra i trentini c’erano malviventi. Per fortuna che c’era la Lega che difendeva i valori trentini: strudel, crocefisso e presepe contro kebab, burqa e moschee.
Dopo avere risolto il problema del lavoro si sarebbe dedicato a proteggere la sua Lorena. Certo che trovare lavoro a cinquant’anni non era semplice per nessuno e, per un uomo che era stato licenziato perché sorpreso a dormire ubriaco sul posto di lavoro, era ancora più difficile. Però con una serie di suppliche, di telefonate, di lettere e di raccomandazioni da parte di uno zio prete e del sindaco era riuscito a fare mettere una buona parola al proprietario dell’hotel Orleans di Gelido Terme, una località turistica vicina al suo paese. L’hotel Orleans era uno degli alberghi più lussuosi della cittadina. Era grande e molto richiesto ma era una costruzione un po’ datata e quindi bisognoso di continua manutenzione. Se il proprietario lo avesse assunto come operaio, Umberto avrebbe potuto risolvere i suoi problemi arrivando tranquillamente alla pensione.
Una settimana prima aveva telefonato alla reception dell’hotel Orleans. Gli avevano dato il numero di cellulare del proprietario in persona, il signor Dupont. Pieno di timore Umberto aveva chiamato e aveva parlato con una persona disponibile e paziente. “Si, mi hanno parlato di lei” gli aveva detto la voce che aveva un accento francese “penso di poterla accontentare, ma vorrei prima vederla di persona. Per conoscerla, capisce? Nella mia vita professionale mi sono fidato sempre e solo della mia impressione, del mio istinto, come si dice”.
Umberto, sapendo che quella era forse la sua ultima occasione per trovare un lavoro, aveva voluto essere sicuro di non dare motivi per lamentarsi al suo, sperava, futuro datore di lavoro. Si fermò vicino alla macchina sotto la neve che scendeva fitta. Gli sembrava di vedersi mentre parlava al propietario dell’albergo nella maniera forse più sincera della sua vita: “signor Dupont, come saprà io ho avuto un problema nel mio ultimo lavoro. Io…”. “Si, sono a conoscenza di quella, diciamo, disavventura” lo aveva interrotto l’altro “ma come le dicevo, io mi fido più del mio istinto che delle notizie che sento, anche se sono brutte. E se devo essere sincero anche più delle telefonate di raccomandazione che mi vengono fatte. Quindi saprò valutare dopo averla conosciuta”.
Umberto lo aveva ringraziato con tono ruffiano e aveva chiesto se poteva passare in albergo il giorno successivo. Il signor Dupont gli aveva detto di essere molto occupato e poi lo aveva sorpreso aggiungendo: “non lo immaginerà ma io la vigila di Natale passo sempre dal suo paese per salutare alcuni amici francesi che ci abitano. Se vuole, quella sera, verso le 18, possiamo incontrarci al bar del suo paese. Tra l’altro devo anche prendere mio figlio che nei paraggi ha un’amica. Umberto, aveva ovviamente accettato.
Mancava poco alle 18. Umberto si fermò fuori dal bar a finire la sigaretta. Guardò in su verso il lampione. La neve scendeva in milioni di fiocchi illuminati che gli si posavano sul viso e gli entravano nel collo del giaccone. Ma quella sera non provava fastidio. Quella sera era speciale. Era la sera decisiva per la sua vita e per quella di sua figlia.
A proposito: non era sua figlia quella che stava scendendo le scale della piazza? Ed era accompagnata da qualcuno, un ragazzo forse? Non riusciva a vedere perché l’altra persona aveva il cappuccio del giaccone alzato.
Umberto entrò nel bar. Non voleva che Lorena lo vedesse. Magari poteva pensare che la controllava. Era ovvio che la controllava, ma non voleva dargliene l’impressione.
Sulla porta d’entrata incrociò due ragazzi di origine cinese del paese. “Buon Natale” disse il primo. “Buon Natale” disse il secondo. Umberto grugnì ed entrò. Al bancone c’erano Aldo e Giovanni. Ai due mancava un Giacomo e sarebbero stati perfetti. Aldo era in pensione e Giovanni era sempre in malattia ma sul certificato dell’Inps alla voce residenza avrebbe potuto scrivere: presso il bar da Pietro, dove era reperibile sia nelle fasce orarie a disposizione del medico fiscale sia in tutte le altre fasce orarie della giornata. Quei due erano il corrispettivo maschile delle classiche pettegole di paese. Solo che loro erano più cinici. Bastava dargli uno spunto, soprattutto se si trattava di prendere in giro qualcuno.
Umberto sperava che Lorena non entrasse nel bar con l’accompagnatore che lui non conosceva perché quelle due vipere di Aldo e Giovanni avrebbero sicuramente iniziato una delle loro commedie.
Per darsi un tono esordì con un “cinesi! Mancavano solo i cinesi in paese. Non bastavano marocchini, albanesi e rumeni a fregarci il lavoro, a rompere le balle e ad infastidire le nostre figlie. Adesso ci sono anche gli orientali”.
Si guardò in giro. In quella sera di vigilia oltre ad Aldo e Giovanni nel bar c’era solo un uomo di colore di una certa età che stava bevendo un the al tavolino in fondo a destra, sotto la televisione. “Ecco, appunto” concluse Umberto distogliendo lo sguardo.
“Pietro, fammi un caffè!” disse al padrone del bar. Quella sera era meglio non farsi trovare a bere alcolici. Non era proprio il caso. Avrebbe avuto modo di brindare dopo avere ottenuto il posto di lavoro.
La porta d’entrata del bar si aprì. Sua figlia entrò ridendo mentre il suo accompagnatore la inseguiva in uno scherzoso gioco tra ragazzi. La coppia si fermò sulla soglia. Lorena si scosse i capelli facendo cadere la neve che vi si era accumulata. Il suo amico si abbassò il cappuccio del giaccone. Umberto rimase di sasso: era un ragazzo nordafricano.
“Oh che sorpresa!” disse Aldo sistemandosi sullo sgabello da bancone per godersi la scena.
“Non è una sorpresa” gli rispose Giovanni “è un regalo di Natale per Umbero. Vero Umberto?”.
Il padre della ragazza guardava verso la porta a bocca aperta e nel prendere la tazzina di caffè la ribaltò. Nel frattempo la coppia era uscita di nuovo dal bar e Lorena si era appoggiata con la schiena alla porta del locale. Il ragazzo l’abbracciava e la stava baciando.
“Oh oh” ricominciò Aldo “questo è quello che si chiama un saluto al bacio”.
“Umberto, prendi il vischio che i ragazzi si fanno gli auguri” gli fece eco Giovanni.
Per Umberto era troppo. Non bastava che la figlia baciasse un africano. Quei due serpenti lo avrebbero fatto sapere a tutto il paese. E come se non bastasse da un momento all’altro poteva arrivare il proprietario dell’hotel Orleans e avrebbe capito che la figlia di quello che poteva essere un suo futuro dipendente sbaciucchiava un…un…extracomunitario. No, non doveva succedere.
Si diresse a passi decisi verso la porta e la spalancò. La figlia quasi gli cadde addosso. “Papà!” gridò a metà tra l’arrabbiato e lo spaventato.
Aldo e Giovanni non si perdevano un movimento. Sembrava fossero due spettatori al cinema. Anche il signore seduto al tavolino in fondo al locale si alzò e si avvicinò per vedere cosa stava succedendo. Il ragazzo di Lorena invece si allontanò da Umberto, spaventato.
L’uomo si mise ad urlare: “brutto negro! Che cosa stai facendo? Non puoi baciare mia figlia! È trentina, hai capito?”.
Nel bar scese un silenzio glaciale. Il ragazzo si rannicchiò nell’angolo vicino alla porta d’entrata. Lorena si mise a piangere. Aldo e Giovanni, appollaiati sugli sgabelli si trattenevano a stento dallo scoppiare a ridere. Umberto fremeva di rabbia stringendo le mani in due pugni. Fece per aprire nuovamente la bocca per aggiungere qualcosa quando una mano lo toccò su una spalla e una voce calma disse: “Basta così!” Umberto si girò di scatto. Era il signore di colore.
“E tu che vuoi?” gli disse Umberto.
L’altro si rivolse invece al ragazzo impaurito vicino alla porta del bar. “Marcel” disse.
Il ragazzo alzò la testa e rispose: “papà” con evidente sollievo.
“Signor Dupont!” disse la figlia di Umberto mentre diventava rossa vergognandosi per la scenata del padre. Umberto realizzò solo in quel momento che il signore che stava accanto a lui era il proprietario dell’hotel Orleans e che lui un attimo prima aveva offeso pesantemente suo figlio. Provò a dire qualcosa per rimediare. “Signor Dupont, io…”
L’altro alzò una mano impedendogli di continuare. “Signor Umberto, non aggiunga altro a quanto ha già detto. Non ho nemmeno dovuto fare affidamento al mio istinto. Ho già elementi sufficienti per capire che lei non è la persona che fa per me.”
Poi si rivolse alla ragazza. “Lorena, vuoi che ti accompagniamo a casa?” le chiese gentilmente. La ragazza guardò suo padre e poi di nuovo il signor Dupont e fece cenno di si con la testa. Poi uscì dal bar seguita dal proprietario dell’albergo e da suo figlio. Quando la porta si richiuse alle loro spalle Umberto si girò verso il bancone.
Aldo e Giovanni con due sorrisi esagerati alzarono i bicchieri in un brindisi.
“Buon Natale Umberto” gli disse Aldo.
“E buon anno nuovo” continuò Giovanni.

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