giovedì 1 marzo 2007

ECONOMIA DEGLI SPORT INVERNALI

Lo sci è da sempre considerato uno sport per ricchi capitalisti, o perlomeno per persone che stanno bene...economicamente più che fisicamente. Infatti se si tiene conto che uno skipass giornaliero costa almeno 20 euro e, pensando a una famiglia media di 3 persone fanno come minimo 60 euro solo per l’uso degli impianti di risalita. Se allo skipass si aggiungono la benzina e un pasto completo al rifugio si capisce che per una giornata di sci bisogna mettere in conto una spesa minima di 100 euro. Naturalmente finora stavamo parlando dello sci da discesa e non di quello da fondo. Se la discesa almeno in Italia è lo sport più polare e praticato, lo sci da fondo è uno sport populista, nel senso politico del termine: “Movimento sportivo diffuso nei Paesi sovietici e scandinavi che mira alla formazione di una società socialista di tipo contadino, contraria all’industrialismo occidentale delle attrezzature da sci”. La spesa per l’utilizzo della pista (già il fatto che si paghi per fare fatica e non per evitare la fatica è la dimostrazione della superiorità ideologica del fondo rispetto alla discesa) è di circa 5 rubli… cioè euro, a testa. Per praticare il fondo infatti basta stare bene fisicamente e non economicamente. Quindi la stessa famiglia solo con il costo dello skipass può fare fondo, mangiare, bere, e fare il pieno alla macchina. In questi anni di recessione si sta attuando una rivoluzione: i risparmi della famiglia di discesisti sono discesi con la famiglia, ma senza risalire. Ci sono padri di famiglia che dopo aver pagato lo skipass per tutta la famiglia vengono colpiti da depressione. Si fanno dieci giri di pista… senza scendere dalla seggiovia: “Con quel che pago!”. Altri raccontano ai figli che in inverno, quando chiude Gardaland, aprono le seggiovie: “Quindi non sognarti di chiedermi di andare sulle giostre fino a quando compi 18 anni!”. “Papà, allora per il mio diciottesimo compleanno mi porti a Gardaland?”. “Per il tuo diciottesimo compleanno… arrangiati! Tanto sei maggiorenne!”. I discesisti non consumano più pasti completi al rifugio, ma pasti frugali… al sacco, in macchina sottozero… sottozero non tanto la temperatura, ma il portafoglio. Il paradosso è che dal parcheggio i discesisti, ex capitalisti, vedono la famiglia dei fondisti socialisti (i nuovi ricchi dell’inverno) che dalla pista si dirige alla vicina dacia per gustare il menù completo di caffè e vodka, pagando con il denaro risparmiato grazie ad ore ed ore di fatica e sudore. A fare le spese della rivoluzione in atto sulle piste da sci sono gli albergatori, vittime di una crisi aggravata dalla carenza di neve. In breve tempo anche tra gli operatori turistici trentini si è diffuso il panico e non sapendo che fare, sentendosi in pericolo, istintivamente si sono messi a gridare: “Mamma… Provincia!”. Visto il calo dei turisti, i titolari degli hotel hanno infatti chiesto alla Provincia di proclamare lo stato di calamità, mettendo loro a disposizione una grande magnadora per i gatti delle nevi. Questa richiesta ha però innescato una reazione a catena con un’escalation di domande di sostegni economici da parte di altre categorie che a causa dell’inverno sahariano hanno subito una diminuzione delle entrate. La redazione è riuscita ad entrare in possesso di un documento riservato in cui sono elencate le categorie commerciali che hanno fatto richiesta di stato di calamità alla Provincia (tra parentesi l’articolo rimasto invenduto). Gommisti (pneumatici da neve e catene); negozi di ferramenta (pale da neve); negozi di articoli sportivi (sci, abbigliamento invernale, slittini); baristi (vin brulè, bombardino). Anche noi abbiamo fatto richiesta di stato di calamità per la scorta di punch al goulash che avevamo comperato l’anno scorso in offerta speciale e che pensavamo di usare quest’anno.

SRL: Scrittori a Responsabilità Limitata.

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