Come faccio solitamente quando preparo i bagagli per le sospirate ferie, ho lasciato il cervello sul tavolo di casa e ho messo in valigia solo quei tre neuroni che servono per mangiare, giocare a calcetto e completare mezzo sudoku. Ho portato con me anche quel minimo di memoria per conservare qualche episodio della settimana trascorsa nel tipico villaggio vacanze tunisino.
In aereo c’era un signore che leggeva un catalogo di viaggi sull’Irlanda. Ma come, vai in Tunisia, leggi un libro sulla Tunisia, no? O era un irlandese che aveva molta nostalgia di casa, o era un italiano che sperava ancora di riuscire a far cambiare idea alla moglie…
Le hostess e gli steward tunisini non sorridono neanche se li costringi (probabilmente è previsto dal contratto). Due passeggeri italiani ci hanno provato: uno ha afferrato da dietro un assistente di volo mentre sua moglie gli faceva il solletico ai piedi con una piuma… niente. Hanno provato con le ascelle… niente. Sulla pancia… niente. Collo… niente. Colon… niente. Dopo decine di tentativi, stremati, si sono riseduti e hanno aperto il giornale sulle pagine della politica interna… solo in quel momento gli hanno strappato una mezza risata.
A un certo punto del viaggio dall’altoparlante si è sentito: ”Se c’è un dottore a bordo è pregato di portarsi vicino alla cabina di pilotaggio”. Una passeggera che si era sentita poco bene, ma questo lo abbiamo saputo solo più tardi. Nei primi momenti di incertezza mi è scappata la battuta a voce alta: “Sarà il pilota che si sente male!”; nelle file davanti e dietro la mia sono sbiancati… per sdrammatizzare ho dovuto fingere un infarto stramazzando nel corridoio.
Dopo l’atterraggio tutti a battere le mani. Ma come? Capisco che te la stavi facendo sotto, ma il pilota ha fatto il suo lavoro, mica altro. Allora applaudiamo anche l’idraulico dopo che ci ha cambiato la guarnizione del lavandino o la commessa che ci affetta la mortadella, o il politico che fa quello ha promesso in campagna elettorale... (questa era una battuta).
Tragitto in taxi di cinque chilometri per andare dal villaggio alla vicina città di Mahdia. Andata con un tassista che mi ha raccontato la storia della sua vita e faceva di tutto per socializzare. Costo del viaggio 5 dinari (circa 3 euro). Ritorno con un tassista che fumava in auto nonostante avesse sul cruscotto un adesivo con “vietato fumare” e che non ha fiatato per tutto il tragitto. Costo del viaggio 4 dinari (circa 2,5 euro). Morale: meglio la socializzazione a prezzo alto o l’indifferenza a prezzo basso? Certo, l’ideale sarebbe il tassista simpatico che non fuma a bordo e ti fa pagare meno, ma se la coerenza non ce l’ hai in un ufficio pubblico italiano, non puoi pretendere di averla su una strada tunisina.
Sempre a proposito del tassista fumatore: mentre stavamo viaggiando mi sono girato verso di lui per fargli notare la discrepanza tra il divieto di fumo sul suo taxi e il fatto che stava fumando. Dopo avere visto le cicatrici sopra l’occhio e sulla guancia ho pensato che un po’ di fumo passivo in fondo non poteva farmi poi chissà che male.
Il tassista chiacchierone invece, appena arrivati in città ha accostato “casualmente” vicino a un particolare negozio di souvenir per parlare… o litigare (i tunisini parlano sempre ad alta voce e sembra che stiano litigando) con un tipo che sostava all’incrocio. Quest’ultimo, che indossava una maglietta con il faccione di Maradona, ci ha mostrando un foglietto bisunto con scritto: “Non mi riconosci? Io faccio il cameriere nel villaggio dove siete in vacanza oggi è il mio giorno libero. Venite con me!”. Ci ha portati davanti ad un negozio di tappeti dove c’era un altro tipo che stava mangiando un panino ripieno più grande di lui. Breve dialogo gridato anche tra di loro e in un attimo ci siamo ritrovati all’interno del bazar, con il tipo che ci riproponeva dal vivo una televendita di tappeti e il panino che bloccava l’uscita. Solo in quel momento abbiamo capito che eravamo caduti in un perfetto tranello tassista-Maradona-paninaro. Il sedicente cameriere-Maradona? Nel villaggio non l’abbiamo più rivisto.
Caos al mercato settimanale di Madhia: tutta la famiglia trascinata in un negozio da un uomo che voleva fare vedere a mia figlia come si scriveva il suo nome in arabo. Ovviamente voleva venderci un braccialetto con il nome inciso sopra. All’uscita del negozio dico a mia moglie: “Immaginavo che si trattasse di una cosa del genere”… dalla soglia di un negozio di tappeti un altro venditore, che non sapeva minimamente di cosa stessi parlando, mi fa: “Amico, una cosa del genere? Io ce l’ho!”
Il capo villaggio faceva praticamente tutto lui: accoglieva gli ospiti con il cocktail di benvenuto, presentava le serate dell’animazione, cercava di trascinarti a fare le varie attività del villaggio, arbitrava le partite di calcetto… lo vedevi ovunque per tutta la settimana fino al momento della partenza, quando ce lo siamo trovato sul pullman che ci portava all’aeroporto per salutarci di persona. C’era praticamente dappertutto: sembrava Berlusconi in campagna elettorale.
Una signora in vacanza con il marito e due bambini aveva frainteso il concetto di “all inclusive”, cioè la vacanza dove hai già pagato tutto quello che potrai ingurgitare. Il tutto incluso lei lo aveva interpretato alla rovescia: si era portata tutto da casa!
Un bambino dopo avere giocato a calcetto è andato dal padre dicendogli: “Sono stanco”. E il padre: “A dodici anni la parola stanco te la devi proprio scordare, la potrai usare solo quando avrai cinquant’anni”. E il figlio di rimando: “Come mai allora tu continui a dirlo e hai 35 anni”?
Nel corridoio fuori dalla nostra stanza ho incrociato una coppia. Ho fatto il grave errore di salutare anche se non li conoscevo; è sceso il gelo: sembravano due pesci fuor d’acqua. Peggio dei trentini, almeno quelli un “Salve!” a denti stretti lo dicono. Questi invece non mi hanno proprio considerato. Poi ho capito: poco dopo li ho rivisti al ristorante per la colazione… in un villaggio “all inclusive”, dove puoi mangiare e bere fino a vomitare lui ha preso un caffè, lei mezza brioche.
Le vacanze purtroppo sono già solo un ricordo, ma torniamo alla quotidianità con un po’ di buonumore: se qualcuno vi saluta, anche se vi conosce poco o non vi conosce, non vuole intromettersi nella vostra vita privata, vi sta solo salutando. Rispondetegli, un “Salve!” va bene, un “Buongiorno!” anche meglio!
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