“Dai, che tra poco abbiamo finito”. L’agente di polizia Tomasi inspirò a fondo e nel soffiare fuori l’aria tra i denti, sembrò espirare anche la tensione del pomeriggio.
Il carabiniere Degasperi lo guardò serio, perché lui invece, di tensione, ne aveva in corpo parecchia. D’altronde il convegno natalizio della coalizione politica di maggioranza, non era una cosa da prendere sottogamba.
Era vero che a sentire i giornali in questa fortunata provincia non succedeva mai niente di particolare e nel caso, veniva risolto in maniera efficace e molto mediatica. Del resto, in questo periodo di crisi, il Trentino non era una delle poche zone additate come esempio dal resto dell’Italia? E poi, quanti anni erano che l’alleanza trentina di maggioranza dominava elezioni e situazioni, dicendo di garantire sempre tranquillità e serenità alla popolazione?
Anche se la verità che si vedeva tutti i giorni e che veniva riportata solo da internet, era quella di un territorio che viveva povertà, problemi sociali e disordini di piazza come nelle altre parti d’Italia. “Che c’è Degasperi, a che pensi? Non dirmi che hai paura che succeda qualcosa?”.
Tomasi lo guardò con un’aria divertita che solo un poliziotto poteva avere. Un collega dell’arma non si sarebbe permesso di fare domande simili. D’altronde non c’era scelta: era finita l’epoca delle coppie di carabinieri.
I tagli alla spesa del governo avevano colpito sia il ministero della Difesa che quello dell’Interno. Ora le forze di sicurezza erano un misto di carabinieri e di poliziotti, con l’innesto graduale delle guardie piumate südtiroltrentine che, diceva il magistrato, li avrebbero presto sostituiti.
“Guarda che anche se ci tocca fare finta che vada tutto bene, non vuol dire che dobbiamo smettere di stare attenti”. Invece di mostrarsi colpito dalla sua frase, il poliziotto fece un altro sorriso e si girò a guardare il palco.
Il candidato presidente del PCT, il Partito del Canederlo Trentino, diretto discendente della Margherita e dell’UPT, aveva appena terminato il suo accorato appello all’autonomia e ai valori fondanti di questa terra, “che è sempre più ponte verso il mondo altoatesino e germanico dal quale discendiamo e con il quale dobbiamo collaborare per una proficua continuazione delle prerogative della nostra autonomia eccetera, eccetera”.
L’applauso della sala scrosciò assordante. Accanto a lui, il leader del PTSP, il Partito Trentino Strudel Popolare, accondiscendeva soddisfatto.
Anche Tomasi era soddisfatto. Il pomeriggio era passato tranquillo tra i discorsi, le benedizioni religiose, le interviste dei giornalisti, gli auguri di Natale e i buoni propositi per consolidare il patto tra i due partiti che secondo le previsioni dovevano amministrare il Trentino ancora per qualche lustro.
Le poche manifestazioni di dissenso si erano avute all’ingresso dell’albergo nel quale si teneva il congresso. Là fuori i ragazzi dei centri sociali, recentemente alleatisi con i rappresentanti della Lega della “Panada”, il partito secessionista che aveva come simbolo la zuppa di pane trentina, stavano dimostrando con slogan e cartelli.
Strana associazione, quella tra giovani di sinistra e intolleranti di destra, ma d’altronde, come si sentiva da più parti, l’opposizione in Trentino non esisteva più da anni. I ceti svantaggiati e la moltitudine dei nuovi poveri non avevano altra rappresentanza se non in questa anomala coalizione. E poi c’erano i gruppi di neofascisti che stavano terrorizzando sempre più la città.
Tomasi lo distrasse di nuovo dai suoi ragionamenti: “rilassati Degasperi, stasera quando smontiamo ti offro una birra al Pedavena, che ne dici?”.
Il carabiniere stava per replicare, quando un movimento in sala attirò la sua attenzione. Una figura massiccia stava avanzando con passo veloce tra le file di sedie. Degasperi pensò si trattasse di una delle guardie südtiroltrentine, ma quello che era arrivato in cima alla sala e che stava ora salendo gli scalini che portavano sul palco, non era vestito di verde ma di rosso, tanto per un momento al carabiniere sembrò “il Gabibbo! È il Gabibbo”, gridò divertito il poliziotto Tomasi.
L’omone intanto si era avvicinato ai due leader politici che si erano rifugiati dietro il tavolo con i molti vassoi pieni dei simboli della loro alleanza: i canederli tirolesi e lo strudel trentino. “No, è Babbo Natale!” disse una voce vicino a Tomasi e Degasperi. I due si girarono, e il bambino, figlio di qualcuno dei presenti, disse di nuovo: “è Babbo Natale!” mentre guardava estasiato l’omone vestito di rosso.
Degasperi e Tomasi scattarono all’unisono verso il palco pensando che si potesse invece trattare di un malintenzionato. La scaletta era stretta e i due iniziarono a salirla insieme, con l’intenzione di arrivare uno prima dell’altro ma soprattutto prima delle guardie piumate che si stavano avvicinando dal fondo della sala e alle quali non volevano lasciare il merito dell’intervento. Il risultato fu quello di trovarsi incastrati in un groviglio di bandoliere e cinturoni da fare invidia a una comica di Ollio e Stanlio.
Nel frattempo l’intruso vestito di rosso che rivelava una folta barba bianca e degli altrettanto candidi capelli, si era ficcato in bocca una fetta intera di strudel “politico” e dopo avere afferrato un enorme vassoio di canederli era saltato giù dalla parte opposta del palco con inaspettata agilità. Si stava dirigendo ora verso la porta che portava alle scale di sicurezza.
Degasperi e Tomasi, dopo essersi divincolati l’uno dall’altro, saltarono a loro volta giù dal palco, crollando addosso al gruppo di guardie piumate che stavano correndo dietro il fuggitivo. Il carabiniere e il poliziotto si rimisero in piedi a fatica e dopo avere raggiunto la porta dalla quale era sparito il sospetto, estrassero le pistole di ordinanza e la spalancarono, ritrovandosi su un pianerottolo.
Le scale discendenti portavano all’uscita di sicurezza del piano terra e quelle che salivano permettevano di accedere al terrazzo dell’albergo. Tomasi stava per scendere ma Degasperi lo bloccò indicandogli il berretto rosso che l’uomo vestito di rosso aveva perso sugli scalini che portavano di sopra. Il poliziotto lo raccolse e i due iniziarono a salire.
In quel momento arrivò il gruppo delle guardie di partito e Tomasi gridò: “noi andiamo di sopra, voi scendete di sotto”, e strizzò l’occhio al collega. Bravo Tomasi, pensò Degasperi, meglio non avere tra i piedi quel drappello in calzoni tirolesi.
Ripresero la salita e arrivati in cima uscirono sul terrazzo. Tre piani di sotto si sentivano gli schiamazzi delle guardie piumate che erano uscite in strada mescolarsi agli slogan dei contestatori. Il carabiniere e il poliziotto si guardarono in giro con cautela impugnando le pistole.
Vicino alla balaustra del terrazzo c’era il fuggitivo accanto a una enorme slitta da neve, uguale a quella che da bambini Degasperi e Tomasi avevano sognato mille volte la notte di Natale. Attaccate davanti c’erano nove renne e l’uomo vestito di rosso stava dando loro da mangiare i canederli che aveva preso sul palco.
I due si avvicinarono. Tomasi aveva ancora in mano il cappello rosso, Degasperi lo seguiva con la bocca spalancata come un bambino, guardando il sacco enorme sul retro della slitta.
“Si, ci sono i doni là dentro”, sembrò leggergli nel pensiero Babbo Natale. “Ora infatti devo riprendere il mio viaggio: ho ancora qualche casa da visitare. Mi sono fermato un attimo a prendere qualcosa da mangiare per le renne. Purtroppo in questo periodo di crisi anch’io faccio fatica a sostenere le spese. E visto che i politici di questi problemi non sembrano averne, sono venuto dove cibo ce n’era in abbondanza.
Questo dev’essere mio” disse prendendo il berretto rosso dalle mani di Tomasi e mettendoselo in testa. “Che ne dite se ci vediamo a fine turno al Pedavena per una birra? Sapete, anch’io in servizio non posso bere…” e facendo un sorriso ai due uomini in divisa, salì a bordo.
Tirò dolcemente le briglie e le renne iniziarono a librarsi in aria. La slitta di Babbo Natale si alzò dal terrazzo e volò via con un suono di campanelli.
Tomasi e Degasperi la seguirono con lo sguardo mentre girava l’angolo del palazzo di fronte. Dalle scale si sentiva della gente salire di corsa.
Probabilmente le guardie südtiroltrentine e magari qualche giornalista.
Tomasi si girò verso Degasperi e disse: “e ora cosa raccontiamo al magistrato?”.
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