mercoledì 25 febbraio 2009

NON È UN PAESE PER MONCHI

In Arabia Saudita due ufficiali di polizia colpevoli di avere violentato una ragazza straniera sono stati condannati alla decapitazione. C’è una certa differenza rispetto alle condanne che ci sono da noi, con i violentatori che rischiano l’ergastolo solo nel caso di morte della vittima ed altrimenti se la cavano con pene minime. Certo che nel mondo islamico non scherzano come punizioni, basti pensare alla ormai nota consuetudine di amputare le mani a chi ruba. In questo periodo nel quale da noi si sente parlare ogni giorno di stupri e violenze verso le donne e nel quale sembra che la classe politica sia sempre più spesso coinvolta in casi di appropriazione indebita, corruzione e quant’altro penso che sarebbero in molti a volere adottare un po’ di giustizialismo saudita.

Diciamo che senza arrivare al caso estremo della decapitazione per chi si macchia di quel reato imperdonabile che è la violenza carnale, molti cittadini in casi del genere opterebbero volentieri per una via di mezzo tra il taglio della testa ed il taglio della mano. Senza entrare in dettagli anatomici diciamo solo che sempre di taglio si tratterebbe. Per quanto riguarda invece il caso specifico dell’amputazione delle mani per chi commette un furto, estendendo il discorso anche a chi si macchia di corruzione e di truffa ai danni dello Stato, non credo che la società italiana sia ancora pronta ad una classe politica composta in buona parte da monchi. Una cosa è certa: al giorno d’oggi sembra quasi che sia la normalità quella di un politico con la fedina penale diciamo non proprio immacolata e purtroppo tale consuetudine è lo specchio di un società imperfetta cioè, e mi si perdoni il gioco di parole, monca.

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